Come combinare DLP e IAM per una strategia Zero Trust davvero efficace
In questi ultimi anni, l’approccio Zero Trust è diventato un modello di riferimento per la cybersecurity, grazie ad ambienti dominati dal lavoro remoto, dai dispositivi personali e da un’esplosione di dati sensibili distribuiti tra cloud, endpoint e applicazioni SaaS.
Ma tra la teoria e una strategia Zero Trust che funzioni davvero, il passo è tutt’altro che scontato.
Spesso le aziende si concentrano su un singolo tassello – ad esempio, l’implementazione di firewall intelligenti o di una Data Loss Prevention (DLP) – senza considerare che la sicurezza dei dati non può prescindere dalla gestione precisa delle identità e dei ruoli. La combinazione tra DLP e IAM (Identity and Access Management) rappresenta quindi un’ottima struttura per creare un sistema Zero Trust che offra una reale protezione.
In questo articolo
Data Loss Prevention e IAM: una logica semplice quanto potente
La logica è semplice quanto potente:
- La DLP può proteggere il dato, ma non può farlo efficacemente se non conosce chi sta accedendo e da quale contesto.
- L’IAM, dal canto suo, fornisce l’intelligenza necessaria per distinguere le identità, applicare autenticazioni contestuali e garantire che solo le persone giuste accedano ai dati giusti, nel momento corretto e dal dispositivo appropriato.
Una sinergia che diventa ancora più efficace grazie a strumenti come le passkey, che consentono una autenticazione forte e senza password, e alla possibilità di definire policy granulari: ad esempio, impedire il download di dati sensibili da un account personale o da un dispositivo BYOD (Bring Your Own Device).
In questo articolo esploreremo:
- Come DLP e IAM si integrano in una strategia Zero Trust coerente;
- Perché è fondamentale gestire identità, ruoli e contesti;
- Esempi pratici di policy efficaci e tecnologie da adottare per proteggere dati e accessi in modo coordinato.
Il paradigma Zero Trust: fiducia zero, verificare sempre
Il principio fondante dello Zero Trust è semplice da capire e allo stesso tempo rivoluzionario: non fidarti mai, verifica sempre. In contrasto con i modelli di sicurezza tradizionali – basati su un perimetro di rete “sicuro” e su cui si presume che tutto ciò che vi entra sia affidabile – il modello Zero Trust parte dal presupposto opposto: ogni accesso deve essere validato, ovunque si trovi.
Scopri come funziona un’architettura Zero Trust

Dati, dispositivi e identità: i tre pilastri della strategia di sicurezza
Per costruire una strategia Zero Trust efficace, è fondamentale avere il controllo su tre elementi chiave:
Dati
I dati aziendali, spesso distribuiti tra cloud, dispositivi mobili e ambienti ibridi, rappresentano il bersaglio principale per le minacce informatiche. È essenziale sapere dove si trovano, chi li può vedere, come vengono condivisi e soprattutto quando escono dall’ambiente controllato. La Data Loss Prevention (DLP) risponde a questa esigenza monitorando, classificando e – quando necessario – bloccando flussi di dati considerati sensibili o non conformi alle policy.
Dispositivi
In un ecosistema in cui proliferano dispositivi BYOD (Bring Your Own Device) ed endpoint connessi, ogni device rappresenta un possibile punto di ingresso per gli attaccanti. Un approccio Zero Trust deve includere il monitoraggio continuo dei dispositivi, verificando il loro stato di sicurezza, compliance e integrità prima di concedere l’accesso a risorse aziendali.
Identità
L’elemento più critico è l’identità. Sapere chi sta effettuando una richiesta di accesso, se ha i privilegi necessari, e se l’azione richiesta è coerente con il contesto (luogo, orario, dispositivo) è fondamentale. Qui entra in gioco l’IAM (Identity and Access Management), che permette di gestire autenticazioni forti, accessi condizionati e policy basate sui ruoli.
Zero Trust come concetto alla base della strategia
Uno degli errori più comuni è pensare che lo Zero Trust sia un singolo strumento da acquistare o un firewall “intelligente” da installare. In realtà, è una strategia che si costruisce nel tempo e coinvolge:
- La definizione delle superfici da proteggere
- L’autenticazione continua e adattiva degli utenti
- La valutazione dinamica del rischio
- L’isolamento segmentato delle risorse critiche
- La visibilità completa su accessi, movimenti e tentativi anomali
Lo Zero Trust senza la gestione delle identità funziona?
Una protezione dei dati senza un controllo accurato delle identità è inefficace. È solo attraverso l’integrazione tra strumenti come la DLP e un sistema IAM avanzato che si può realmente:
- Prevenire la fuga di dati sensibili;
- Limitare privilegi e accessi;
- Applicare policy granulari basate su ruoli e contesti;
- Rispondere proattivamente a comportamenti anomali.
Il ruolo della DLP nella protezione dei dati
Quando si parla di protezione dei dati in una strategia Zero Trust, la Data Loss Prevention (DLP) gioca un ruolo fondamentale. È la tecnologia che consente di monitorare, controllare e proteggere le informazioni sensibili ovunque esse si trovino: nel cloud, su dispositivi locali, in transito sulla rete o nei file allegati alle email.
Cos’è la Data Loss Prevention
La DLP è una categoria di soluzioni di cybersecurity progettata per prevenire la perdita accidentale o intenzionale di dati sensibili. Funziona identificando e tracciando le informazioni critiche, come:
- Dati personali (PII – Personally Identifiable Information);
- Informazioni finanziarie;
- Proprietà intellettuale;
- Credenziali di accesso;
- Documenti riservati aziendali;
Una volta riconosciuti, la DLP applica policy di sicurezza per controllare chi può accedere ai dati, dove possono essere inviati, e in quali condizioni possono essere utilizzati.
Tipologie di Data Loss Prevention: endpoint, rete, cloud
Le soluzioni DLP si sviluppano su tre livelli, che possono essere combinati per creare una protezione completa:
- DLP endpoint
Agisce direttamente su dispositivi come laptop, desktop o terminali mobili. Controlla copia/incolla, salvataggi locali, upload, stampe e persino screenshot. È particolarmente utile in ambienti BYOD, dove i dati possono uscire dai confini aziendali. - DLP network
Monitora il traffico di rete per rilevare tentativi di trasmissione di dati sensibili verso destinazioni non autorizzate (es. email personali, cloud esterni, FTP). Offre visibilità e controllo sui dati in movimento. - DLP cloud (CASB integrato)
Si integra con applicazioni cloud come Microsoft 365, Google Workspace, Salesforce, ecc., per impedire che i dati sensibili vengano condivisi impropriamente o scaricati da utenti non autorizzati.
La DLP nel contesto Zero Trust
Nel paradigma Zero Trust, la DLP consente di rafforzare il controllo sul dato, aggiungendo una difesa dinamica basata su:
- Classificazione automatica dei dati: i documenti vengono etichettati in base alla loro sensibilità (es. confidenziale, pubblico, interno).
- Policy contestuali: le regole di accesso cambiano in base a identità, luogo, orario, dispositivo.
- Risposta automatica: quando viene rilevato un comportamento anomalo (es. un utente scarica grandi quantità di dati in orario notturno), la DLP può bloccare l’azione, avvertire un amministratore, o richiedere una nuova autenticazione.
DLP in azione: esempi pratici
- Un utente cerca di inviare via email un foglio Excel contenente codici IBAN di clienti: la DLP lo blocca e segnala l’evento.
- Un collaboratore utilizza Dropbox personale per caricare documenti PDF classificati come “riservati”: accesso negato.
- Un dispositivo BYOD tenta di copiare file da SharePoint su una chiavetta USB non autorizzata: la DLP lo impedisce in tempo reale.
I limiti della DLP senza IAM
Sebbene la DLP sia potente, non è sufficiente da sola. Senza sapere chi è l’utente e qual è il suo contesto, può incorrere in falsi positivi o risultare troppo permissiva.
Ecco perché è importante abbinarla a un sistema IAM in grado di:
- Identificare con precisione l’identità digitale dell’utente;
- Valutare il rischio in tempo reale;
- Adattare dinamicamente le policy di accesso.
Solo così si possono applicare regole del tipo:
“Permetti il download del file solo se l’utente è su dispositivo aziendale, in sede, con autenticazione forte e ruolo approvato”.
IAM: la spina dorsale di una strategia Zero Trust
Immaginiamo la DLP come lo scudo che protegge il dato, la gestione delle identità e degli accessi (IAM – Identity and Access Management) come il cervello della strategia Zero Trust. Lo IAM è ciò che permette di verificare costantemente l’identità degli utenti, gestire permessi e privilegi in base al contesto, e assicurare che ogni azione sia autorizzata, tracciabile e conforme alle policy aziendali.
Approfondimento sullo IAM: cos’è e perché ricopre un ruolo fondamentale
L’IAM è l’insieme di tecnologie e processi che consente alle organizzazioni di:
- Identificare gli utenti, i dispositivi e le applicazioni
- Autenticare l’identità in modo sicuro
- Autorizzare solo le operazioni compatibili con il ruolo assegnato
- Registrare e monitorare tutte le attività legate agli accessi
Nel modello Zero Trust, ogni richiesta di accesso, anche se proviene da utenti interni, è considerata potenzialmente rischiosa finché non viene verificata in modo dinamico, tenendo conto di identità, dispositivo, luogo, orario e comportamento storico.
Leggi il nostro articolo sull’Identity and Access Management
Differenza tra autenticazione e autorizzazione
Due concetti fondamentali nell’IAM sono spesso confusi:
Autenticazione: è il processo con cui il sistema verifica chi sei (es. tramite password, passkey, biometria, MFA).
Autorizzazione: è il processo che definisce cosa puoi fare una volta autenticato (es. accedere a un’applicazione, leggere un file, scaricare un documento).
In ambito Zero Trust, l’autenticazione deve essere forte, contestuale e multifattoriale, mentre l’autorizzazione deve essere basata su policy granulari che considerino ruoli, appartenenze a gruppi, sensibilità dei dati e contesto operativo.
IAM e contesto: oltre l’identità statica
Un IAM non si limita a riconoscere un nome utente e una password. Deve sapere:
- Se l’accesso avviene da un dispositivo aziendale o personale
- Se l’utente è in orario lavorativo o fuori fascia
- Se sta cercando di accedere a dati coerenti con il suo ruolo
- Se è presente un comportamento anomalo rispetto allo storico
Questi elementi rendono possibile un controllo accessi dinamico, che adatta le policy in tempo reale: ad esempio, un dipendente in viaggio può accedere al CRM, ma non scaricare dati sensibili se è connesso da una rete pubblica.
Ruoli, gruppi e permessi granulari
Per funzionare, l’IAM deve basarsi su una mappatura chiara delle identità all’interno dell’organizzazione, come:
- Ruoli aziendali (es. marketing, HR, IT, finance);
- Gruppi funzionali (es. team di progetto, fornitori, partner esterni);
- Permessi dettagliati per ciascun ruolo/gruppo.
Questo approccio consente di applicare policy di accesso mirate, riducendo il rischio di privilegi eccessivi e garantendo che ogni utente abbia solo ciò di cui ha bisogno (principio del least privilege).
IAM e automazione delle policy
Uno dei grandi vantaggi di un sistema IAM evoluto è la possibilità di:
- Automatizzare l’assegnazione dei permessi in base al ruolo;
- Revocare automaticamente i privilegi in caso di cambio ruolo, fine contratto o inattività;
- Implementare workflow di approvazione per accessi elevati o temporanei.
IAM senza integrazione? Attenzione alle vulnerabilità
Un sistema IAM scollegato da strumenti come DLP, EDR, CASB o SIEM rischia di diventare un silos.
Solo attraverso una integrazione profonda tra identità, dati e dispositivi, è possibile applicare il paradigma Zero Trust in modo efficace.
Ad esempio:
L’IAM può rilevare che un utente autenticato tenta di accedere a dati fuori ambito → la DLP può bloccare l’azione.
Se un dispositivo compromesso tenta l’accesso → il sistema IAM può forzare una nuova autenticazione o negare l’accesso.
Passkey e MFA: verso un’autenticazione senza password
All’interno di una strategia Zero Trust, l’autenticazione non può più basarsi su password statiche. Troppo deboli, facilmente intercettabili, spesso riutilizzate o condivise, le password tradizionali rappresentano un punto critico per la sicurezza delle identità.
La soluzione? Passare a forme di autenticazione forti, contestuali e passwordless, come le passkey, integrate in un sistema IAM avanzato e supportate da MFA (Multi-Factor Authentication).
Cos’è una passkey?
Una passkey è un metodo di autenticazione senza password, basato su chiavi crittografiche generate localmente sul dispositivo dell’utente. In pratica:
- L’utente registra una coppia di chiavi (una pubblica e una privata);
- La chiave privata rimane sul dispositivo ed è protetta da meccanismi biometrici (es. impronta digitale o Face ID);
- Quando si accede a un servizio, il sistema verifica l’identità confrontando la chiave pubblica e quella privata, senza trasmettere segreti via rete.
Questo modello è resistente a phishing, credential stuffing, e man-in-the-middle attack, rendendolo ideale per una strategia Zero Trust.
L’integrazione delle passkey nel sistema IAM
Un sistema IAM può integrare le passkey per offrire un’esperienza utente fluida e sicura. Le passkey:
- Si collegano all’identità digitale dell’utente;
- Consentono un login passwordless, verificando biometricamente il dispositivo;
- Possono essere abbinate a fattori aggiuntivi, come posizione, rete e tipo di dispositivo per un’autenticazione contestuale.
Ad esempio, un utente può accedere al portale aziendale solo con passkey e Face ID da un laptop aziendale registrato.
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